Roba da grandi

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Roba da grandi – 2018


 

Sinossi 


Siamo in uno stanzone militare, con i letti allineati e le pareti bianche, squadrato e regolare. Nulla di anomalo, dunque, se non fosse per un dettaglio non da poco: al posto dei soldati, davanti alle brande, sono allineati dieci bambini tra gli otto e i dodici anni.
Stanno sull’attenti, concentrati e in divisa, tutti uguali ma tutti diversi come sono i bambini, ciascuno con un segno che ne racconta la battaglia in corso: uno di loro ha la flebo, un altro è in sedia a rotelle, un altro ancora non ha i capelli. Lo sguardo da duri è invece una caratteristica comune, ma ogni soldato ha bisogno di un sergente che lo sproni a battersi con il coraggio necessario per affrontare la lotta.
Ed eccolo, il nostro uomo: Giorgio Panariello, in tenuta militare, con tanto di medaglie appuntate al petto. Da come si muove, attraversando la sala e passando in rassegna i suoi piccoli uomini, richiama alla memoria il durissimo Sergente Hartman di Full Metal Jacket. Anche il suo discorso ricorda il monologo iniziale di quel film indimenticabile, ma nella nostra storia, una storia innanzitutto di bambini, la fantasia regna incontrastata, indirizzando le parole e le azioni come meglio crede.
Il Sergente Panariello distribuisce soprannomi; e se hai la flebo diventi Flebo Scatenata, se sei sovrappeso e hai l’orecchino ti trasformi in Soldato Maradona, se sei costretto su una sedia a rotelle sarai il Soldato Formula 1. Allo stesso modo, gli insulti dell’originale Sergente Hartman si trasformano in buffi botta e risposta con i bambini, che rispondono per le rime e in maniera ironica. Il sergente non può che ammettere ogni volta di esagerare, vedendosi costretto ad abbassare i toni, ma sull’energia da infondere ai suoi non retrocede di un passo, ordinando di tener duro: se quei piccoli soldati riusciranno a terminare l’addestramento, è sicuro che saranno dispensatori di vita, temprati per sostenere le battaglie più dure.
Il discorso scuote i bambini, che su ordine del Sergente Panariello si esibiscono in una “faccia da guerra”, piena di determinazione e di passione, accompagnata da un urlo prima singolo e poi collettivo da parte di chi quella guerra è pronto a combatterla. Anche il sergente sembra esserne convinto, tanto che invita lo squadrone a uscire allo scoperto, fuori dalla camerata, oltre quella porta che conduce nel mondo…
…o meglio, conduce in un mondo magico, perché oltre quella porta c’è una sala cinematografica, dove i bambini avanzano in fila indiana. Sono sempre loro, li riconosciamo, ancora con lo sguardo fiero, da duri, ma in pigiama e ciabattine, illuminati dal grande schermo che trasmette le ultime immagini di un film. Camminano in direzione dell’uscita, avvicinandosi sempre di più alla porta della sala, dove li sta aspettando il Sergente Panariello, adesso in camice da medico.
Mentre li osserva con tenerezza e orgoglio, il dottore tiene la porta aperta per farli passare. I bambini sfilano davanti a lui, e si scambiano sguardi d’intesa, pronti all’avventura successiva: un nuovo film da vivere in prima persona, l’indomani sera, quando saranno di nuovo proiettati altrove, come soltanto il cinema ha il potere di fare, mescolando il tempo e trasformando lo spazio.
Ed ecco che, al termine di quella proiezione, quella sera, quando arriva il momento di rientrare nelle stanze, lungo la corsia si diffonde magicamente una musica soave, che accompagna l’andare del medico e dei bambini. Un attimo dopo, una voce inconfondibile traduce in versi il messaggio lanciato del sergente all’inizio della storia, e ne amplifica la forza attraverso un potentissimo canto…